Jusepe de Ribera, noto anche come Lo Spagnoletto, nacque in Spagna nel 1591. Nel 1616 si trasferì a Napoli, dove rimase fino alla morte nel 1652. All’epoca Napoli era un fiorente polo culturale e artistico, e Ribera trovò in questo stimolante ambiente molte opportunità creative. L’artista realizzò numerosi ritratti, soprattutto per famiglie nobili e facoltose della città.
Lo stile di Ribera risentì dell’influenza di Caravaggio e del realismo spagnolo. Si distinse nel rappresentare corpi e volti umani, spesso in scene di sofferenza, riflesso della sua anima tormentata. Ribera fu uno dei maggiori pittori napoletani del XVII secolo e influenzò notevolmente la pittura italiana del tempo. Le sue opere erano apprezzate per la loro intensità emotiva e capacità di catturare l’essenza delle scene.
I suoi capolavori napoletani includono “San Giovanni nel deserto” nella chiesa di San Giovanni a Carbonara e la toccante “Pietà” nella Certosa di San Martino. Non è noto con certezza dove Ribera abitasse a Napoli. Probabilmente viveva e lavorava nel centro storico, vicino ai committenti e ai siti delle sue opere. All’epoca la vita a Napoli era difficile per molti poveri, flagellati da epidemie. Ribera morì nel 1652, lasciando un’importante eredità artistica. Oggi i suoi lavori sono esposti nei maggiori musei mondiali.
Cristiano Luchini ha ideato un racconto di finzione, il cui protagonista è Jusepe de Ribera. Il titolo è “Ribera e San Girolamo al balcone”.
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Vagavo in un vicolo cupo di Napoli, accompagnato da olezzi poco nobili e dall’acuto vocio dei passanti. La calura era soffocante. Non era un posto dove avrei voluto essere, ma ero lì perché volevo catturare la bellezza nella sua forma più pura e autentica. E poi, all’improvviso, un raggio di sole squarciò l’oscurità e illuminò un anziano signore seduto su una sedia fuori ad un balcone. Aveva l’aria stanca, pochi capelli grigi e con un fazzoletto si asciugava il cranio perlaceo, madido di sudore. Non era un uomo bello in senso classico, ma c’era qualcosa di meraviglioso nella sua austerità. Mi ricordava San Girolamo, il santo che avevo più volte ritratto, il quale aveva trascorso la sua vita in preghiera e meditazione. Stavo fissando l’uomo quando all’improvviso lo vidi vacillare e rovinare al suolo dalla sedia. Fu una scena straziante, eppure nella sua morte intravidi una bellezza nuda e sublime. Ignoravo il perché, ma in quel frangente compresi che la bellezza non risiede solo in ciò che è splendido e perfetto, bensì anche negli istanti di tormento e nel sopraggiungere della fine.
Non so quanto tempo rimasi a contemplare quel corpo antico senza vita, di squame e di trame di noce. E poiché fui pittore, decisi di catturare quella bellezza sulla tela. Fu un dipinto difficile da realizzare, ma alla fine riuscii a rappresentare quella scena con la giusta miscela di realismo e poesia. Quando mostrai il quadro agli altri, molti non capirono il suo significato. Ma per me fu la rappresentazione perfetta della bellezza che avevo colto in quel vicolo dei dimenticati da Dio e che sapevo sarebbe rimasta con me per sempre. Para siempre.