Street food ne “Il ventre di Napoli” di Matilde Serao.
Napoli è da sempre la capitale mondiale dello street food, Fin dal ‘700 per le strade ed i vicoli della città, così come avviene ancora oggi, vi erano numerosissimi venditori ambulanti di cibarie varie, i quali attiravano l’attenzione dei passanti e degli abitanti della zona con le loro grida esaltanti la merce alimentare che mettevano in commercio. Sottoponiamo un passaggio memorabile da “Il ventre di Napoli” , celebre romanzo della scrittrice partenopea Matilde Serao, pubblicato nel 1884. Tale estratto proietta il lettore nel fantastico mondo dello street food napoletano, descritto con grande dovizia di particolari, dalla abile “reporter” napoletana.
“Quello che mangiano”
(…) “Con un soldo, la scelta è abbastanza varia, pel pranzo del popolo napoletano.
Dal friggitore si ha un cartoccetto di pesciolini che si chiamano fragaglia e che sono il fondo
del paniere dei pescivendoli: dallo stesso friggitore si hanno per un soldo, quattro o cinque
panzarotti, vale a dire delle frittelline in cui vi è un pezzetto di carciofo, quando niuno vuol più
saperne di carciofi, o un torsolino di cavolo, o un frammentino di alici. Per un soldo, una vecchia dà
nove castagne allesse,denudate della prima buccia e nuotanti in un succo rossastro: in questo brodo il
popolo napoletano vi bagna il pane e mangia le castagne, come seconda pietanza; per un soldo,
un’altra vecchia, che si trascina dietro un calderottino in un carroccio, dà due spighe di granturco
bollite. Dall’oste, per un soldo, si può comperare una porzione di scapece; la scapece è fatta di zucchetti
o melanzane fritte nell’olio e poi condite con aceto, pepe, origano, formaggio, pomidoro, ed è
esposta in istrada, in un grande vaso profondo, in cui sta intasata, come una conserva e da cui si taglia
con un cucchiaio.
Il popolo napoletano porta il suo tozzo di pane, lo divide per metà, e l’oste vi versa
sopra la scapece. Dall’oste, sempre per un soldo, si compera la spiritosa: la spiritosa è fatta di
fette di pastinache gialle, cotte nell’acqua e poi messe in una salsa forte di aceto, pepe, origano e
peperoni. L’oste sta sulla porta e grida: addorosa, addorosa, ‘a spiritosa! Come è naturale, tutta
questa roba è condita in modo piccantissimo, tanto da soddisfare il più atonizzato palato meridionale.
Appena ha due soldi, il popolo napoletano compra un piatto di maccheroni cotti
e conditi; tutte le strade dei quartieri popolari, hanno una di queste osterie che installano
all’aria aperta le loro caldaie, dove i maccheroni bollono sempre, i tegami dove bolle il sugo di
pomidoro, le montagne di cacio grattato, un cacio piccante che viene da Cotrone. Anzi tutto,
quest’apparato è molto pittoresco, e dei pittori lo hanno dipinto, ed è stato da essi reso lindo e quasi elegante con
l’oste che sembra un pastorello di Watteau; e nella collezione di fotografie napoletane, che gl’inglesi
comprano, accanto alla monaca di casa, al ladruncolo di fazzoletti, alla famiglia di pidocchiosi, vi è
anche il banco del maccaronaro.
Questi maccheroni si vendono a piattelli di due e di tre soldi; e il
popolo napoletano li chiama brevemente, dal loro prezzo: nu doie e nu tre. La porzione è piccola e
il compratore litiga con l’oste, perchè vuole un po’ più di sugo, un po’ più di formaggio e un po’ più
di maccheroni. Con due soldi si compera un pezzo di polipo bollito nell’acqua di mare, condito
con peperone fortissimo: questo commercio lo fanno le donne, nella strada, con un
focolaretto e una piccola pignatta; con due soldi di maruzze, si hanno le lumache, il brodo e
anche un biscotto intriso nel brodo: per due soldi l’oste, da una grande padella dove friggono
confusamente ritagli di grasso di maiale e pezzi di coratella, cipolline, e frammenti di seppia, cava una grossa
cucchiaiata di questa miscela e la depone sul pane del compratore, badando bene a che l’unto caldo e
bruno non coli per terra, che vada tutto sulla mollica, perchè il compratore ci tiene.
Appena ha tre soldi al giorno per pranzare, il buon popolo napoletano, che è
corroso dalla nostalgia familiare, non va più dall’oste per comperare i commestibili cotti,
pranza a casa sua, per terra, sulla soglia del basso, o sopra una sedia sfiancata.
Con quattro soldi si compone una grande insalata di pomidori crudi verdastri e
di cipolle; o un’insalata di patate cotte e di barbabietole, o un’insalata di broccoli di rape; o
un’insalata di citrioli freschi.
La gente agiata, quella che può disporre di otto soldi al giorno, mangia dei
grandi piatti di minestra verde, indivia, foglie di cavolo, cicoria, o tutte queste erbe insieme, la
cosidetta minestra maritata; o una minestra, quando ne è tempo, di zucca gialla con molto pepe; o
una minestra di fagiolini verdi, conditi col pomidoro; o una minestra di patate cotte nel
pomidoro. Ma per lo più compra un rotolo di maccheroni, una pasta nerastra, e di tutte le
misure e di tutte le grossezze, che è il raccogliticcio, il fondiccio confuso di tutti i cartoni di
pasta, e che si chiama efficacemente monnezzaglia: e la condisce con pomidoro e formaggio.”